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Italo Svevo

Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nasce a Trieste nel 1861 da famiglia benestante. Figlio di un commerciante ebreo di origini tedesche, viene indirizzato dal padre verso gli studi commerciali, dapprima in Baviera e poi a Trieste. Dopo un impiego in banca, Svevo trova impiego nella ditta di proprietà della famiglia della moglie, Livia Veneziani, attiva nel settore delle vernici.

Da sempre dedito all’attività letteraria, Svevo approfondisce lettura dei classici italiani e degli autori contemporanei, sia italiani che europei. Oltre alle opere di Boccaccio, Gucciardini e Machiavelli, sarà infatti la lettura dei testi di autori come Flaubert, Zola, Balzac e Stendhal a influenzare maggiormente la sua produzione letteraria. Saranno poi le diverse correnti di pensiero sviluppatesi in Europa a segnare profondamente la formazione culturale dello scrittore: il positivismo di Darwin da un lato; dall’altro il pensiero di Schopenhauer, Nietzsche e la psicoanalisi di Freud.

Conosciuto come il maggiore esponente della cultura letteraria mitteleuropea, le opere di Svevo racchiudono i caratteri di quell’identità metà italiana e metà tedesca, tipica di una città quale Trieste.

Il primo romanzo, Una vita, viene pubblicato nel 1892 dall’editore Treves con il titoli iniziale Un inetto. Ed è già fin dal primo romanzo che si determina il carattere principale di tutti i romanzi sveviani, la figura dell’inetto. Prende avvio la narrazione della vicenda di un vinto dalla vita, incapace di agire attivamente. Così come il protagonista di Una vita anche quello del secondo romanzo di Svevo, Senilità è un uomo inetto.

Nel 1923, Svevo pubblica a sue spese il terzo romanzo, La coscienza di Zeno, presso l’editore Cappelli. Continua però la totale indifferenza verso da parte della critica italiana nei confronti dell’autore finché, grazie all’intervento dell’amico James Joyce, il romanzo non viene apprezzato dalla critica francese. Joyce infatti, dopo aver letto l’opera e essendone rimasto colpito, convince Italo Svevo ad inviare il romanzo ai critici Larbaurd e Crémieux, i quali contribuiscono al successo dell’opera nel panorama europeo.

A far conoscere Svevo alla critica italiana è invece Eugenio Montale, scrivendo il saggio omaggio a Svevo, pubblicato su L’Esame nel dicembre del 1925.

L’autore muore improvvisamente a Motta di Livenza a seguito di un incedente stradale. Era il 12 settembre 1928.